7 Fallacie Argomentative da cui devi difenderti
Cosa sono le Fallacie Argomentative
“Che può illudere, ingannare, indurre in errore, e, più spesso, che inganna, che induce in errore.”
È questa la definizione di “fallace” secondo la Treccani. Qualcosa che non si limita a essere errato, ma che ha anche il potere di “fregare” coloro a cui manca la capacità di riconoscere tale fallacia.
Un’argomentazione, invece, non è altro che l’espressione di un ragionamento, il quale è composto da due elementi:
- Una o più premesse;
- Una conclusione.
Poiché la conclusione viene ricavata dalle premesse, è logico che se queste ultime dovessero essere sbagliate, finirà con l’esserlo anche la prima.
Da tutto ciò capiamo che le fallacie argomentative sono in realtà degli errori logici, di ragionamento, che si manifestano in argomentazioni sbagliate, le quali però sono in grado di convincere una buona fetta di chi ascolta.
Nonostante la potenziale pericolosità di questi errori, argomentare bene è una capacità che viene spesso sottovalutata. Ci fidiamo talmente tanto dei nostri pensieri e delle nostre convinzioni che spesso ci illudiamo di essere anche in grado di esprimerli in modo logico, chiaro e coerente.
La verità, però, è ben diversa. L’arte retorica è una soft skill che, come tutte le cose, necessita di studio e pratica per essere padroneggiata.
Questo articolo è dunque per chi desidera diventare padrone del proprio ragionamento, coltivare il proprio pensiero critico e imparare a esprimere le proprie riflessioni senza incappare nelle fallacie argomentative.
Perché studiare le Fallacie Argomentative?
Un dubbio comune tra chi vuole imparare come argomentare bene è la seguente:
Se le fallacie argomentative sono ragionamenti sbagliati, perché studiarle? Non ha più senso imparare direttamente come argomentare bene?
La risposta è molto semplice.
Anzitutto, anche se tu fossi in grado di produrre ragionamenti sempre corretti al 100% (e sono certo che non sia così) sappi che quelli dei tuoi interlocutori non lo saranno. Prendi dunque le fallacie argomentative come il tuo piccolo “manuale di autodifesa”, che potrai usare per riconoscere gli errori sia tuoi sia altrui, per difenderti da chi cerca di manipolarti ma anche per costruire un dibattito più proficuo con chi ci è caduto in buona fede.
Dopotutto, per saper costruire ed esprimere un buon ragionamento (che, ripeto, sono due skill differenti) non basta sapere dove andare, bisogna anche conoscere dove non andare e curarsi di starne alla larga.
Direi che mi sono dilungato fin troppo. Passiamo ora a 7 fallacie logiche da cui devi saperti difendere, abusate da chiunque anche e soprattutto nel dibattito pubblico.
Fallacia dell’Etimologia
X un tempo significava Y, dunque anche oggi significa Y.
Ogni parola ha una storia, un’origine, spesso derivata dall’unione di più culture e che ne rivela il significato più antico. Tutto questo è l’etimologia, una materia affascinante ma che, purtroppo, nel dibattito è di ben poca utilità.
Commettiamo la fallacia dell’etimologia ogni volta in cui ci appelliamo al significato “antico” di una parola, convinti che in realtà sia quello reale e (se usato in malafede) perché ci è più conveniente per sostenere la nostra tesi.
Il problema di questa fallacia è che non tiene conto di quanto una lingua possa mutare nel tempo, di quanto il significato delle parole in molti casi possa cambiare (e non di poco).
Prendi ad esempio la parola “decimare”.
Ad oggi, secondo la Treccani, il suo significato attuale è: “ridurre grandemente di numero facendo strage di uomini.”
Tuttavia, il suo significato storico è il seguente: “punire i soldati colpevoli di gravi mancanze uccidendone uno ogni dieci.”
Pretendere di voler usare “decimare” con quest’ultimo significato è quindi un errore semantico, dato che non è quello in uso al momento, ma anche un errore logico, dato che si trae la conclusione che poiché una parola aveva un certo significato allora quest’ultimo sia anche quello attuale.
Fallacia della falsa dicotomia
Per la gioia degli estremisti, parliamo ora della falsa dicotomia, ovvero la fallacia in cui si forza la controparte (ma spesso ci si inganna anche da soli) a scegliere tra due estremi da noi proposti, ignorando tutte le possibilità che ci sono nel mezzo.
Un esempio classico può essere il seguente.
“Amo troppo il buon cibo per mettermi a dieta. La vita è una sola e voglio godermela come dico io, senza dover rinunciare a mangiare ciò che mi piace.”
Come vedi, una frase di questo tipo sottintende due scenari possibili:
- A. Mi metto a dieta e rinuncio a ciò che invece mi andrebbe di mangiare;
- B. Non mi metto a dieta e continuo a mangiare ciò che voglio senza alcun vincolo;
Tuttavia, tra queste due opzioni ce ne sono molte altre che, però, sono state omesse, in buona o in cattiva fede. Un esempio potrebbe essere ridurre i cibi a base di zuccheri semplici e sostituirli con frutta o verdura, oppure iniziare una dieta flessibile che preveda dei pasti “sgarro” ogni settimana, le opzioni sono tantissime.
In questo caso siamo noi a usare la falsa dicotomia su noi stessi, autoingannandoci, ma in diverse situazioni ci viene anche proposta da altri. Vediamo un altro esempio.
“Non ci sono vie di mezzo: o sei d’accordo con questa nuova legge, oppure sei un criminale.”
Ovviamente, non essere d’accordo con l’entrata in vigore di una legge non significa essere criminali. Al contrario, l’interlocutore potrebbe avere tantissime ragioni per non volerla.
Notare come questo esempio in particolare includa un’unione di più fallacie argomentative: la falsa dicotomia e l’argumentum ad hominem. Ci sono persone, infatti, che potrebbero sentirsi attaccate emotivamente dall’ad hominem e, dunque, mostrarsi remissive, finendo per cadere nella trappola della falsa dicotomia.
Cum hoc, ergo propter hoc
Sapevi che negli Stati Uniti l’aumento del consumo di pizza è correlato all’aumento del numero di diplomati alle scuole superiori?
Dico sul serio, sono stati stilati dei grafici che lo dimostrano. Sarà forse che la pizza rende più intelligenti?
Per quanto so che ti piacerebbe, no. Questo è un classico esempio di cum hoc ergo propter hoc, un errore di ragionamento molto noto in statistica ed espresso con la frase “correlation is not causation“.
È una fallacia argomentativa più comune di quel che si pensi e si verifica quando si crede che poiché due eventi sono correlati tra loro allora uno debba necessariamente aver causato l’altro.
Tuttavia, come credo tu possa aver capito già dall’esempio, questa correlazione non basta a concludere che vi sia un rapporto causa-effetto. Al contrario, possono esserci diverse spiegazioni possibili:
- Può trattarsi di una coincidenza;
- Può esserci un terzo fattore che causa l’evento (chiamato in statistica Confounding Causation) ed è il caso dell’esempio della pizza che ho fatto poco fa. Il numero di persone negli USA è in continuo aumento, il che significa che nel tempo ci saranno sia più persone che si diplomano sia più persone che mangiano pizza (e che fanno più o meno qualsiasi altra cosa);
- Ciò che crediamo sia l’effetto potrebbe invece essere la causa e viceversa (in questo caso si parla di Reverse Causation). Ad esempio, poniamo che ci sia una correlazione il tra numero di armi da fuoco possedute dai cittadini di un paese e il numero di omicidi. Sarebbe facile saltare alla conclusione per cui il possedere le prime causi un aumento dei secondi, ma in realtà potrebbe essere l’esatto opposto: l’aumento degli omicidi potrebbe spingere i cittadini a comprare armi da fuoco per la loro protezione.
In sostanza, per quando anche a me piacerebbe vivere in un mondo in cui la pizza rende più intelligenti, ricorda: “correlation is not causation“.
Post Hoc, ergo propter hoc
“Oh, ciao mamma […]. La spedizione artica è stata un successo considerevole […]. No madre, non ho percepito le preghiere della tua parrocchia per la mia incolumità. Il fatto che sia vivo non dimostra che abbia funzionato, la tua è logica Post Hoc Ergo Propter Hoc. No, non ti sto insultando in eschimese.”
Sheldon Cooper
Sorella forse più conosciuta della precedente, la fallacia post hoc ergo propter hoc si verifica quando si crede che un evento sia la causa di un altro solo per il fatto che il primo sia avvenuto prima del secondo.
A differenza della fallacia cum hoc ergo propter hoc, in questo caso è necessaria la condizione che un fatto avvenga prima dell’altro. Tuttavia, di nuovo, questo non è sufficiente per dimostrare un rapporto causa-effetto.
Come hai visto nel caso di Sheldon Cooper, questa fallacia è comune in contesti religiosi e folcloristici. Pensa a tutte quelle persone malate che sono guarite dopo essere state visitate da uno sciamano, attribuendo ai suoi metodi la loro guarigione.
Dato che, in casi di questo tipo, spesso la persona o si riprendeva o moriva, è abbastanza facile saltare alla conclusione che trattamenti del genere siano efficaci (dopotutto, chi non guariva di certo non poteva lamentarsi con lo sciamano di turno). Ecco perché, nel tempo, è diventato fondamentale testare in modo accurato ogni nuova cura, per evitare di usare casi aneddotici come prove.
Cherry Picking
Così come ci piace scegliere solo le ciliegie che ci sembrano più mature e succose, così tendiamo a scegliere solo le argomentazioni utili a confermare la nostra tesi.
Al contrario, l’onestà intellettuale richiederebbe di considerare prima tutte le argomentazioni disponibili e solo dopo di arrivare a una conclusione.
Ti faccio un esempio per farti capire meglio.
Poniamo che tu abbia visto diversi cigni nella tua vita e che tutti fossero bianchi. A questo punto, potresti formulare una tua tesi e dire:
“Tutti i cigni sono bianchi”
Tuttavia, ti basterebbe vedere anche solo un cigno nero per far crollare del tutto la tua tesi. A questo punto, potresti optare per una di queste conclusioni:
- Quasi tutti i cigni sono bianchi
- La maggior parte dei cigni sono bianchi
- In genere i cigni sono bianchi
Al contrario, se decidessi di ignorare il fatto di aver visto un cigno nero e tener fede alla tua tesi iniziale, allora sarebbe Cherry Picking. Con la selezione e la manipolazione delle informazioni, si può infatti distorcere del tutto il significato di più o meno qualsiasi cosa.
Vediamo un altro esempio.
Poniamo che venga condotto uno studio scientifico su un determinato fenomeno e che vengano coinvolti migliaia di scienziati. Una volta fatte le dovute conclusioni, questi sono chiamati a dire se la tesi di partenza è stata confermata oppure no e ipotizziamo che il 99% di loro dia risposta positiva, mentre solo l’1% si dichiari in disaccordo.
In genere questa sarebbe una prova piuttosto importante, ma guarda com’è semplice ribaltare del tutto il risultato dello studio.
“A seguito di uno studio condotto da migliaia di scienziati, diversi di loro si sono dichiarati contrari alla veridicità di questa tesi.”
Non ho specificato in quanti fossero, ho solo posto l’accento sul dato che mi interessava di più.
Eccezioni
Pur restando una fallacia argomentativa in diversi casi, ce ne sono altri in cui il Cherry Picking non solo è ammesso, ma è addirittura necessario.
Un esempio classico sono i processi giudiziari.
In un processo le due parti coinvolte — accusa e difesa — presentano una serie di prove utili a confermare la tesi per cui sono state assunte. Sono dunque tenute a essere “di parte”, a portare argomentazioni biased che spostino la situazione a loro favore.
È l’unione delle loro argomentazioni che permette al giudice di sentenziare, poiché gli si presenterà davanti una situazione il più completa possibile.
In altre parole, il Cherry Picking è fallace solo in quei contesti in cui è richiesto un parere oggettivo, come il giornalismo, il metodo scientifico e tanti altri settori.
Appello alla Natura (Argumentum ad Naturam)
Viviamo in un’epoca in cui le campagne marketing di prodotti “100% naturali” sono all’ordine del giorno. Tuttavia, in buona parte dei casi si tratta solo di appello alla natura.
Commettiamo questa fallacia argomentativa ogni qualvolta ci capiti di dire che qualcosa è “buono” perché è naturale e “cattivo” perché non lo è.
Il punto in questo caso è: cosa si intende per “naturale”?
È “naturale” creare e indossare vestiti pesanti per ripararci dal freddo?
Forse, ma forse no.
È “naturale” usare il fuoco per cuocere per gli alimenti prima di mangiarli?
Per alcuni sì, per altri magari no.
Il concetto di “naturale” spesso è ambiguo e permette alle persone di scegliere cosa per loro lo è naturale (e apprezzarlo) e cosa non lo è (e condannarlo).
Al contrario, sappiamo bene che ci sono diverse cose “artificiali” che sono nel complesso positive e altre “naturali” che lo sono molto meno.
Pensa all’andare in bicicletta. È un mezzo del tutto artificiale e di certo non fa parte della nostra storia evolutiva, ma non per questo è un atto da condannare.
Al contrario, pensa a tutti i tipi di funghi velenosi che esistono al mondo. Sono “100% naturali”, ma questo non è un buon motivo per mangiarseli.
Eccezioni
Anche in questo caso, potrebbero esserti venute in mente diverse obiezioni, te ne cito una.
“Una dieta a base di cibi freschi e naturali è migliore di una composta da cibi processati, pieni di sale e zuccheri semplici.”
Questo è vero e, infatti, ci sono situazioni in cui qualcosa è “migliore” di qualcos’altro poiché è naturale. Non solo, abbiamo anche tanta letteratura scientifica che ne dimostra la veridicità ed è proprio quest’ultima che dovrebbe guidare il nostro ragionamento.
Prendi dunque questa fallacia come un principio generale che, pur avendo qualche eccezione, è abbastanza valido da esserti utile nel costruire meglio il tuo pensiero ed esprimerlo agli altri.
Fallacia delle fallacie
Un grande classico di chi si interessa alle fallacie argomentative è, una volta aver imparato come riconoscerle, fare notare al proprio interlocutore (e a chi ascolta) ogni volta che ne commette una.
È tipico, e sono certo che chi lo fa non ha cattive intenzioni. Tuttavia, ti sconsiglio un’approccio del genere perché, oltre a essere un modo di controbattere piuttosto fine a se stesso, rischia di farti cadere in un errore fatale: credere che, poiché all’interno delle argomentazioni dell’interlocutore vi è una fallacia, allora la sua tesi è falsa.
Presumere che ciò che dice una persona sia falso solo perché ha portato un’argomentazione fallace, è essa stessa una fallacia: la fallacia delle fallacie (fallacy fallacy in inglese).
Cadere in questo errore significa aver frainteso e abusato ciò che si è appreso sulle fallacie argomentative.
Infatti, come abbiamo detto in introduzione, quando un’argomentazione è “fallace” significa, anzitutto, che manca la giusta connessione tra premesse e conclusione. Tuttavia, questo non rivela assolutamente nulla sul grado di veridicità di quest’ultima.
Potrebbe essere falsa? Forse, ma il fatto che sia supportata da argomentazioni fallaci non è un elemento che aiuta a capirlo.
(Tra l’altro, spesso è molto più facile trovare un ragionamento fallace di uno veritiero, visto quanto sappiamo essere stupidi e irrazionali)
Conclusioni
In un mondo in cui persuasione e manipolazione sono all’ordine del giorno, saper riconoscere le fallacie argomentative più frequenti è fondamentale. Sono uno strumento molto potente per sviluppare pensiero critico e smettere di essere influenzabili da coloro che manipolano il prossimo per il loro interesse.
Naturalmente, il discorso sarebbe molto più lungo e se vuoi scoprire altre 7 fallacie argomentative, ti consiglio di leggere questo articolo.
Tra l’altro, in fondo trovi anche qualche riferimento utile se vuoi approfondire l’argomento. Spero che questo articolo ti sia stato utile. Se vuoi saperne di più sui temi della memoria, della produttività e del miglioramento personale continua a seguirmi sul blog!
Per finire, in basso ti lascio i link al mio canale YouTube e a tutti i miei altri canali social. Ci vediamo là.
A presto,
Andrea
Fonti e materiali utili sulle Fallacie Argomentative
http://www.fallacyfiles.org/whatarff.html