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Scuola Italiana: tutti i Problemi di un sistema obsoleto

La scuola italiana ha diversi problemi, è innegabile, ma in questo articolo non punto a muovere critiche fini a loro stesse. Al contrario, sottolineare le mancanze del sistema scolastico italiano significa riconoscere l’importanza dello studio, dell’apprendimento e dell’educazione, nella vita e soprattutto in età scolare.

Ad oggi, però, queste mancanze creano danni troppo gravi per essere ignorate, spesso in aspetti su cui nemmeno ci si ferma a riflettere. Dopotutto è a scuola che vengono formati gli individui che hanno il compito di prendere in mano la nostra società e renderla migliore, i quali però terminano il loro percorso con enormi lacune, senza una reale conoscenza del mondo e troppo spesso come veri e propri analfabeti funzionali.

I principali problemi della scuola italiana riguardano:

  • Una forma mentis sbagliata, caratterizzata dalla paura di sbagliare, dall’incapacità di lavorare in gruppo e dall’identificare i propri successi e la propria intelligenza con i voti
  • Materie nozionistiche, che non puntano a sviluppare un pensiero critico, analitico o creativo, oltre a non aiutare gli alunni a trovare la propria strada
  • Professori sottopagati e non incentivati a stimolare gli studenti nel modo giusto, i quali non insegnano nemmeno un metodo di studio adeguato

Vediamo in dettaglio ognuno di questi punti.

Come sempre, se la preferisci ti lascio qui sotto il video YouTube che ho fatto sull’argomento. 

1. La Forma Mentis sbagliata della Scuola Italiana

Un aneddoto personale

Ricordo che una volta, alle elementari, andai dalla maestra perché non avevo capito il compito che ci aveva assegnato. Quando lei mi spiegò cosa dovevamo fare io d’istinto risposi: “non ho capito, io pensavo che…”  ma lei mi interruppe bruscamente con un lapidario: “tu non devi pensare”.

Ciò che dovevo fare era chiaro: mi era stato spiegato un procedimento e io dovevo rispettarlo, nient’altro, cosa che riassume perfettamente la forma mentis della scuola italiana.

Non dobbiamo pensare, dobbiamo eseguire.

Questo è l’approccio che la il nostro sistema scolastico ci insegna ad avere verso la vita. Non siamo chiamati a ragionare, a sviluppare un pensiero critico o a risolvere i problemi in modo creativo. Tutto ha una soluzione e per trovarla dobbiamo seguire un unico procedimento, quello che il professore o la professoressa ci hanno spiegato.

C’è solo un “piccolo” problema: 

Nel mondo reale, i problemi non hanno MAI un’unica soluzione.

Nella vita (per fortuna) non c’è mai un solo modo per arrivare a un risultato e la scuola, che dovrebbe prepararci ad affrontare ciò che succede nel mondo, ci insegna l’esatto contrario.

La scuola italiana causa avversione al rischio

Sbagliare è fondamentale per l’apprendimento, la crescita e l’innovazione. È dagli errori che derivano i più grandi insegnamenti e le maggiori opportunità di miglioramento.

Al contrario, per la scuola italiana sbagliare significa una cosa sola: essere penalizzati. A ogni errore corrisponde un abbassamento del voto che ha come solo scopo il peggiorare il rendimento dell’alunno o dell’alunna, a cui spesso si aggiungono emozioni come vergogna, frustrazione, tristezza e persino rabbia.

Tutto ciò aumenta di intensità sia durante le interrogazioni, visto il disagio che comporta fare errori davanti ai propri compagni, sia a causa dei professori, dato che spesso non mancano di rimproverare gli studenti per la scarsa preparazione.

Il risultato è un senso di avversione al rischio che non si limita al contesto scolastico, ma finisce per influenzare la loro intera vita.

La scuola italiana rifiuta il lavoro di gruppo

bambini-a-scuola

Le capacità di teamwork sono sempre più richieste nel mondo del lavoro, in cui è raro ormai portare a termine un progetto da soli e, al contrario, è fondamentale sapersi confrontare e coordinare con i propri colleghi per raggiungere un obiettivo comune.

Per qualche motivo però, questo confronto a scuola è ancora associato a una sola pratica: copiare.

Passarsi i compiti, suggerirsi le risposte nelle verifiche, leggere il labiale del compagno in un’interrogazione sono sì pratiche sbagliate, scorciatoie per evitare di studiare, ma sono anche il solo momento in cui gli studenti si aiutano a vicenda durante un compito importante, l’unica possibilità di lavorare in gruppo.

Non solo, anche al di fuori di queste situazioni, parlare con i compagni viene spesso punito al di fuori della ricreazione o di momenti specifici, con richiami o note disciplinari. 

Insomma, gli alunni sono tenuti a fare il loro lavoro sempre da soli, in ogni momento, dal prendere appunti alle prove scritte e orali.

I Voti: andrebbero aboliti?

Negli ultimi anni si è creato un gran dibattito riguardo il senso che i voti hanno nel sistema scolastico italiano. C’è chi dice che andrebbero aboliti perché sono ormai obsoleti e chi invece li ritiene fondamentali per analizzare il rendimento dei ragazzi.

Per quel che mi riguarda, io sono contrario all’abolizione dei voti. Anzi, trovo che ricevere un feedback sia fondamentale per capire i nostri punti di forza e le nostre debolezze, ciò in cui riusciamo e ciò in cui dobbiamo mettere più impegno.

Questo però non significa che il sistema dei voti sia perfetto, tutt’altro. 

Il problema più grande sta nel fatto che spesso studenti e insegnanti li fanno corrispondere non al risultato della performance in una singola prova, ma a una valutazione della persona o delle sue capacità intellettive.

È importante chiarire che andare bene a scuola ed essere “intelligenti” sono due cose del tutto diverse, ma che troppo spesso tendiamo a mettere sullo stesso piano.

Questo danneggia in modo molto serio non solo chi va male a scuola, che verrà etichettato come “poco capace”, ma anche chi va bene. 

E allora come valutare gli studenti?

Per capire il modo in cui questo feedback andrebbe dato e recepito, ci viene in aiuto uno studio scientifico molto interessante.

Alcuni ricercatori hanno preso due gruppi di bambini e gli hanno somministrato una serie di test. Dopo il primo, sulla base dei risultati, a entrambi i gruppi è stato dato, come feedback, un rinforzo positivo

Nel primo gruppo questo rimarcava l’intelligenza, con frasi come: “Bravo! Sei andato benissimo, sei davvero intelligente”. 

Nel secondo invece il rinforzo era basato sull’impegno: “Complimenti! Ti sei davvero impegnato, hai messo tutto te stesso e sei andato benissimo”. 

Quando venne il momento dei test successivi, il primo gruppo andò peggio della prima prova, per due motivi:

  • I bambini non hanno visto riconosciuto il loro impegno nella prova
  • Erano frenati dal timore di non apparire più intelligenti in caso di fallimento

Insomma, chi è intelligente non per forza va bene a scuola, così come chi va bene a scuola non è per forza intelligente.

L’obiettivo dei voti deve essere il feedback, nient’altro. Un metodo efficace per premiare l’impegno degli studenti e capire su cosa lavorare per migliorare.

P.S. Anche gli alunni in questo caso hanno la loro responsabilità, dato che spesso guardano il voto noncuranti di ciò che hanno sbagliato, figuriamoci di come migliorare. 

Scuola italiana e BES: plusdotazione e deficit cognitivi

Non è un segreto che la scuola italiana sia strutturata per standardizzare gli studenti, per renderli tutti uguali e appiattire le conoscenze invece di comprendere pregi e difetti per farli crescere davvero.

Purtroppo però, questo si traduce in una mancanza di preparazione nell’assistere sia alunni plusdotati sia con difficoltà non solo intellettive ma anche sociali, familiari o di puro metodo di studio.

2. Le Materie della Scuola italiana

In un sistema scolastico funzionante, le materie sono ciò che dovrebbe preparare al mondo reale. Certo, dare una buona dose di cultura generale è utile, ma devono anche appassionare gli alunni e stimolare in loro un pensiero critico, creativo e analitico. 

In questo senso, la scuola italiana ha fallito completamente, non c’è un modo migliore per dirlo.

Secondo l’OSCE infatti, l’Italia infatti è in cima alle classifiche mondiali per analfabetismo funzionale, il che significa che una fetta significativa della popolazione (il 27% delle persone tra i  16 e i 65 anni) non è in grado di leggere un testo e rielaborarlo, capirlo a fondo e usare il proprio pensiero critico per distinguere ciò che è vero da ciò che è falso.

Non solo, se si considerano anche le persone con bassa alfabetizzazione funzionale, il valore arriva quasi al 50%. Un risultato drammatico che dimostra quanto sia fallace un sistema di cui il nostro paese sembra ancora andare così fiero

La scuola italiana respinge le nuove tecnologie

intelligenza artificiale ChatGPT

Tutti conosciamo la repulsione del sistema scolastico italiano verso gli strumenti elettronici, dai telefoni ai tablet, dai computer agli ebook. 

Nel boom delle intelligenze artificiali questo problema diventa ancora più serio. La scuola sta perdendo l’importante occasione di sensibilizzare le nuove generazioni verso strumenti come ChatGPT e simili e di insegnare loro come usarli nel modo corretto. 

L’IA è un cambiamento inevitabile a cui il mondo intero deve far fronte, non possiamo permetterci di rimanere indietro a causa di un sistema che reprime l’innovazione.

Andando oltre le nuove tecnologie, gli studenti escono da scuola con grandi lacune riguardo le informazioni di attualità, inconsapevoli di cosa succede nel mondo in cui vivono. Nozioni di base come il nome del presidente della Repubblica, come funziona il nostro governo o chi sono le più grandi potenze mondiali vengono del tutto trascurate.

Materie scolastiche: troppe nozioni, nessuna applicazione

La scuola si basa sulla memorizzazione sterile di concetti e nozioni, al solo scopo di ripeterle durante le interrogazioni o riportarle per iscritto nelle verifiche. 

Come ho già detto, la cultura è importante, ma la scuola dovrebbe prima di tutto insegnare come si impara, dare agli studenti spunti utili su come studiare

Le tecniche di memoria sono uno strumento fenomenale da in questo senso, proprio a causa del fatto che il sistema scolastico italiano è interamente basato sul nozionismo

Tuttavia, esse sono anche uno strumento di difesa, un modo per far fronte alla mole di informazioni che gli studenti sono tenuti a sapere, senza alcuna forma di rielaborazione o di applicazione pratica. 

Per approfondire l’argomento, ti lascio il link al mio videocorso Mnemonica 2.0 – l’arte di ricordare.

Al contrario, le materie scolastiche dovrebbero stimolare gli studenti a riflettere, ad apprendere e ad abbassare quella statistica così preoccupante di analfabetismo funzionale.

Il problema dell’Orientamento: all’università, al lavoro, alla vita

Il problema di cosa fare una volta usciti da scuola è ancora troppo presente, a causa di un servizio di orientamento piuttosto carente. 

Ci si concentra su informazioni futili, come lo stipendio medio o le possibilità di assunzione una volta usciti da un dato corso di laurea, consultabili da chiunque con una ricerca su Google di pochi secondi.

Gli studenti non hanno bisogno di questo, ma di essere ispirati, di essere stimolati. Hanno il diritto di sapere cosa studieranno ogni giorno in facoltà, di cosa si occupa una data professione nel quotidiano.

Inoltre, gli manca la consapevolezza di ciò che li aspetta fuori dalla protezione della scuola. Concetti come le tasse, la libera professione o le differenze tra sistema pubblico e privato mancano del tutto. 

Infine, nozioni di base di legge o di economia andrebbero insegnate tutte le scuole, dato che dai 18 anni gli studenti dovranno votare sulla base di queste.

Riguardo l’orientamento però, ci sono due note positive: i tutor e il docente orientatore, entrati nelle scuole da settembre 2023.

Il tutor ha il compito di costruire percorsi personalizzati per chi ha difficoltà o talenti particolari, mentre il docente orientatore aiuta gli studenti a capire che strada percorrere dopo la scuola, in termini di lavoro e università.

Naturalmente però, ogni buona notizia se ne porta dietro una meno buona. In questo caso, una per figura.

Anzitutto è previsto un solo un docente orientatore per ogni scuola (mentre ogni tutor copre circa 30/50 ragazzi). Inoltre, questi non sono professionisti assunti ex-novo e con una formazione specializzata, ma docenti di ruolo che vengono promossi con un corso formativo di 20 ore, decisamente poche per insegnare quella che dovrebbe essere una professione a sé.

3. I Professori della scuola italiana

professore in una scuola italiana

Iniziamo a parlare di professori con una nota positiva. Credo che tutti noi nei 13 anni di scuola abbiamo affrontato (o stiamo affrontando) abbiamo avuto almeno un professore talentoso, bravo non solo nelle spiegazioni ma anche empatico con gli studenti.

Di fatto, il nostro paese è pieno di insegnanti bravissimi, ma purtroppo questi rimangono delle piacevoli eccezioni. Tant’è che tutti noi, pensando a uno/a di loro, lo/la ricordiamo come un fatto insolito, con un certo risalto rispetto al resto del corpo docenti.

A questi spesso mancano l’empatia e l’amore per il proprio mestiere necessarie per ispirare i propri alunni a voler scoprire di più, a stimolare in loro il desiderio di conoscenza, la curiosità e la spinta a migliorarsi come individui.

Come se non bastasse, a rendere ancora più grave questo problema della scuola italiana ci sono sia gli studenti maldisposti verso i professori, i quali rispondono in malo modo, disturbano le lezioni e non danno alcun tipo di rispetto e valore al professionista che hanno davanti, sia dai loro genitori, che sempre più spesso fanno ricorso quando i loro figli ricevono delle insufficienze o vengono bocciati, perché lo ritengono inaccettabile. 

Problemi come questi costringono gli insegnanti a doversi tutelare, evitando di dare insufficienze e spesso scoraggiandosi riguardo il loro approccio al lavoro.

Tuttavia, se dovessimo identificare il problema più grande del sistema scolastico italiano riguardo i professori, sarebbe il seguente:

Gli insegnanti non sono formati per insegnare. 

Infatti per ottenere l’abilitazione all’insegnamento bisogna superare un concorso in cui si testano le conoscenze tecniche della materia, unito a 20 crediti formativi necessari.

Purtroppo, se il primo non verifica in alcun modo le competenze nel campo dell’insegnamento, i secondi, per quanto utili, non sono certo sufficienti ad ottenerle.

Conoscere un argomento e saperlo insegnare sono due competenze del tutto diverse, che dunque devono essere ottenute e verificate in modo diverso, specie in un contesto così delicato come la scuola.

Al contrario, diventare bravi nell’insegnamento è una scelta che il singolo professore deve prendere di sua volontà, senza alcun obbligo o incentivo da parte della scuola italiana.

Le mancanze dello Stato italiano

Le mancanze dello stato in questo senso sono parecchie. Abbiamo già parlato del problema della formazione all’insegnamento, ma a questo va aggiunto il salario troppo basso per i professori, che non rispecchia l’importanza di questo mestiere.

I docenti hanno una responsabilità enorme. Hanno il compito di plasmare le menti e le vite dei ragazzi coni loro insegnamenti, un fattore troppo spesso sottovalutato.

Effetto Pigmalione: cosa pensano i professori dei loro studenti?

Anche in questo caso, uno studio scientifico ci viene in aiuto per capire la situazione, riguardo l’Effetto Pigmalione (o “profezia autoavverante”).

In questo studio una serie di psicologi ha svolto dei test del QI in varie scuole, per poi indicare agli insegnanti chi fossero i bambini più dotati. Tuttavia, all’insaputa di questi ultimi, gli psicologi li hanno in realtà indicati a caso, senza affidarsi ai risultati ottenuti dai test.

Tempo dopo sono tornati nelle stesse scuole e hanno notato che i ragazzi che avevano indicato come più dotati (senza esserlo per forza) avevano finito per essere i più brillanti

In altre parole, il fatto che l’insegnante credesse nella loro intelligenza ha portato a una serie di comportamenti più o meno inconsci che hanno permesso loro di eccellere sul serio.

Questo ci dà prova di una verità importante: i professori devono credere nelle capacità dei loro studenti. L’opinione che l’insegnante ha sull’alunno ha il potere di plasmarne il rendimento scolastico e con esso l’intera vita.

Conclusioni

Per concludere, le principali conseguenze dovute ai problemi della scuola italiana che abbiamo discusso sono:

  • Pochissima conoscenza del mondo
  • Enormi lacune su temi di attualità
  • Avversione al rischio che blocca gli studenti e crea grandi insicurezze
  • Mancanza di pensiero critico, analitico e di capacità di pensare fuori dagli schemi
  • Analfabetismo funzionale
  • Vedere lo studio come un’attività poco piacevole, da fare solo perché viene imposta dall’alto

Riguardo l’ultimo punto, è importante sottolineare che imparare è la cosa più bella che si possa fare. È solo grazie all’apprendimento che si cresce e si matura davvero.

Per far fronte a questi grandi problemi, ti propongo do due soluzioni:

  • MAI andare male a scuola: non prendere mai debiti e mai farsi bocciare, è solo una perdita di tempo più che evitabile
  • Impara un buon metodo di studio: sfrutta l’occasione per imparare come si studia davvero, anche grazie all’aiuto delle tecniche di memoria
  • Finita la giornata scolastica, studia ciò che più ti appassiona: sii in grado di colmare le lacune della scuola, usa il tuo tempo non solo per svagarti ma anche per imparare come funziona il mondo reale

A presto,

Andrea