Bias Cognitivi: 17 trappole per la tua mente
I Bias Cognitivi (detti anche Euristiche) sono la ragione dell’irrazionalità umana. Sono ciò che ci rende creature illogiche, influenzabili, manipolabili e stupide.
Se fatichi a prendere decisioni con razionalità, seguendo l’istinto e non la logica, è probabile che tu sia vittima di una o più di queste “Scorciatoie Mentali” che il nostro cervello usa per risolvere questioni complesse, allo scopo di risparmiare energia.
Il cervello, infatti, è un organo stupendo, complesso e tutt’ora misterioso. Tuttavia, se c’è una cosa che sappiamo con certezza è che meno lavora e più è contento.
Di questo concetto ha parlato in modo approfondito lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahnemann, nel suo meraviglioso libro Pensieri lenti e veloci, uno dei miei 5 libri preferiti di sempre.
Se vuoi capire come funziona la nostra mente e usare queste informazioni per la tua crescita personale, non puoi (anzi, non devi) fartelo scappare.
Grazie al lavoro illuminante di Kahnemann, ti mostrerò ora perché il cervello meno lavora e più è contento, come mai siamo così suscettibili a bias cognitivi ed euristiche e quali sono quelli più comuni.
Cominciamo. È un articolo bello lungo, quindi eccoti l’indice degli argomenti:
- I Bias Cognitivi: quando il cervello va in “risparmio energetico”
- 1. Bias della Rappresentatività
- 2. Bias di conferma (o Confirmation Bias)
- 3. Bias della Proiezione
- 4. Bias della Negatività
- 5. Bias del Pavone
- 6. Bias dell’Ottimismo
- 7. Bias dell’Omissione
- 8. Bias dell’Azione
- 9. L’Effetto Galatea
- 10. L’Effetto Dunning-Kruger (o Bias dell’Ignoranza)
- 11. Bias del Pensiero Dicotomico
- 12. Bias della Rappresentatività: il caso di Linda
- 13. Effetto alone
- 14. Bias della sostituzione: come evitiamo le domande importanti
- 15. Effetto Ancoraggio
- 16. Bias Cognitivi vs Mindset: quando la mente vince sul corpo
- 17. Bias dell’avversione alle perdite
- Conclusione
I Bias Cognitivi: quando il cervello va in “risparmio energetico”
Secondo Kahnemann, il nostro cervello risparmia energia usando 2 sistemi per svolgere le sue funzioni cognitive.
Possiamo pensare a questi sistemi come a 2 personaggi di un libro, che si alternano in continuazione nel comunicare al lettore. Lascia che te li presenti:
Il primo è il Sistema 1, detto anche Pensiero Veloce, che opera in fretta e in modo automatico, con poco o nessuno sforzo da parte nostra. È qualcosa che non controlliamo in modo consapevole.
Ti faccio alcuni esempi per cui si usa il sistema 1:
- Notare che un oggetto è più lontano di un altro;
- Capire frasi semplici, come: “ciao, mi chiamo Andrea”;
- Rispondere a “2 + 2 = ?”.
C’è poi il Sistema 2, o Pensiero Lento, che richiede sforzo attivo, tempo e concentrazione.
Ecco alcuni esempi che richiedono il sistema 2:
- Rispondere a “19 x 67 = ?”;
- Leggere questo paragrafo per poi ripeterlo a qualcun altro;
- Contare quante volte ho usato la lettera “T” in questo elenco di esempi.
Sistema 1 vs Sistema 2: chi controlla le nostre scelte?
Molto bene, ora che hai conosciuto i 2 personaggi che popolano la tua mente, Kahnemann ha qualcosa da dirti, presta attenzione:
“Quando pensiamo a noi stessi, ci identifichiamo con il Sistema 2, il sé conscio e raziocinante che ha delle convinzioni, opera delle scelte e decide cosa pensare e cosa fare. Benché il Sistema 2 creda di trovarsi dove si trova l’azione è il Sistema 1 il protagonista del libro.”
Ebbene sì, il Sistema 1 determina la maggior parte delle azioni che governano la nostra vita. Non per pigrizia mentale (non sempre almeno, questo dipende da te) ma perché altrimenti il cervello andrebbe in burnout, per i troppi stimoli a cui è esposto.
Finalmente ci siamo. Ora che conosci il modo in cui il cervello va in “risparmio energetico”, è ora di addentrarci negli 11 bias cognitivi che ho preparato per te.
(Scommetto che ne hai avuti almeno la metà, vediamo se mi sbaglio)
1. Bias della Rappresentatività
Il primo dei nostri bias cognitivi è una “scorciatoia”, usata per categorizzare persone o cose. Per farlo, spesso prendiamo elementi che ci sembrano simili alla categoria in questione, ma senza valutare se lo siano davvero.
Detta in modo semplice, si ricorre agli stereotipi.
Ti faccio qualche esempio per farti capire meglio.
Pensa all’attuale conflitto tra Russia e Ucraina. Vista la cattiva reputazione della Russia e di chi la governa, è probabile che alcune persone si facciano un’idea negativa anche di tutti i russi.
Questo, ovviamente, non tiene conto del fatto che esistono persone buone o cattive di ogni nazionalità e in ogni parte del mondo, dunque avremo le stesse probabilità di incontrarle ovunque, anche in Italia.
Un altro esempio potrebbe essere il seguente.
Se per strada vedi un uomo di mezza età passeggiare con una ragazza giovane sulla ventina, mentre parlano e ridono scherzosamente, è probabile che sarai portato/a a pensare che i due siano padre e figlia. Tuttavia, non hai alcun elemento per dedurre una cosa del genere.
Potrebbero essere una coppia con tanti anni di differenza, due amici, colleghi di lavoro o semplici conoscenti.
2. Bias di conferma (o Confirmation Bias)
Il Confirmation Bias è il classico bias cognitivo che si basa sul pregiudizio.
Nello specifico, è la tendenza a cercare solo informazioni che confermino il nostro punto di vista. Quelle contrarie o le scarteremo o le riterremo sbagliate a priori, senza approfondirle o metterci in discussione.
Un bell’esempio di Confirmation Bias ce lo danno i nostri amici terrapiattisti (che in realtà di bias cognitivi ne hanno parecchi, ma sarebbe troppo facile usare solo loro come esempi).
Un terrapiattista convinto sarà disposto a leggere solo fonti a sostegno della teoria della Terra piatta e a confrontarsi solo con coloro che condividono questa tesi, scartando a priori tutto ciò e tutti coloro che, invece, dimostrano il contrario (vuoi perché “non ce lo dicono”, vuoi perché qualche governo o casa farmaceutica ne trarrebbe chissà che vantaggi economici).
3. Bias della Proiezione
Il Bias della Proiezione ci porta, appunto, a proiettare noi stessi sugli altri. Ci illude che la maggior parte delle persone la pensi come noi o sia d’accordo con noi, dandoci la falsa percezione di essere nel giusto.
Dopotutto, chi non ama circondarsi di persone che vedono il mondo come lo vediamo noi?
Siamo tutti desiderosi di ricevere l’assenso altrui, alimenta il nostro ego e ci fa sentire speciali. Ed ecco che una volta aver espresso la tua opinione su un tema caldo sui social e aver ricevuto enorme approvazione da chi ti segue, per colpa di bias cognitivi di questo tipo ti illuderai del fatto che la tua opinione sia quella della maggioranza, ma così non è.
4. Bias della Negatività
Se tendi a dare più peso ai fatti negativi che a quelli positivi, a vedere certe sfide come difficili e (all’apparenza) insormontabili, allora sei vittima del Bias della Negatività.
Chi cade bias cognitivi come questo è portato a pensare che nella vita esistano solo cose brutte e, spesso, a soffrire di problemi di autostima.
In questo caso, l’esempio è presto detto.
I mezzi di informazione, nel trasformare gli eventi in notizie, hanno una forte tendenza verso quelli negativi, facendo spesso leva sulla paura e l’indignazione dei lettori.
Basti pensare che un detto popolare del giornalismo è “Bad news is good news”. In altre parole, le notizie che vendono di più sono spesso quelle più tragiche.
5. Bias del Pavone
Così come il pavone maschio mostra la coda per farsi vedere bello agli occhi della femmina e dimostrare il suo status sociale, così noi tendiamo a condividere i nostri successi e le nostre doti, piuttosto che i fallimenti e i difetti.
Ciò che si ottiene, però, è una società in cui tutti nascondono i propri lati negativi per apparire come perfetti, felici e realizzati, quando spesso e volentieri la realtà e ben diversa.
I social network (Instagram primo fra tutti), sono l’esempio più palese del Bias del Pavone.
Ogni profilo Instagram mostra la versione migliore di chi lo gestisce: tutto è filtrato accuratamente per ottenere un’immagine che piaccia tanto agli altri quanto a se stessi.
La prossima volta che invidi la vita di qualcuno a causa di un post, una storia o un reel, pensa a bias cognitivi di questo tipo.
ALT! Breve interruzione di servizio: se non l’hai già fatto, ti invito a iscriverti alla mia newsletter, dove ogni settimana condivido un concetto che mi ha migliorato la vita riguardo il Mindset, la Produttività e/o la Crescita Personale.
Non te lo perdere, ci vediamo dentro!
6. Bias dell’Ottimismo
È l’esatto opposto del già visto Bias della Negatività. Ci fa vedere il futuro con ottimismo, certi di poter vincere qualsiasi sfida.
A prima vista, forse potrebbe sembrarti un bel modo di approcciarsi alla vita, ma non ne sarei così sicuro.
Questo perché impedisce di vedere i rischi a cui certe azioni possono portare (o a sottovalutarli). Inoltre, si finisce il più delle volte per sopravvalutarne i benefici, riducendosi a compiere azioni sconsiderate che non porteranno al successo sperato.
I giocatori di gratta e vinci sono l’esempio perfetto. Comprano il biglietto fiduciosi che “potrebbe andare bene”, quando la probabilità di vincere 500.000€ con un Gratta e Vinci da 5€ è, in media, di circa 1 su 7 milioni.
7. Bias dell’Omissione
Cadono nel Bias dell’Omissione tutti coloro che temono il rischio a tal punto da non agire per paura delle conseguenze.
Questo è spesso un errore, dato che pressoché ogni decisione importante della vita comporta una percentuale di rischio, che tutti noi dobbiamo assumerci per raggiungere gli obiettivi che ci poniamo.
L’esempio più lampante è provarci con una persona che ti piace. Ciò che di solito frena chi vorrebbe fare il primo passo è la paura del rifiuto, dunque il rischio che quella persona non solo non contraccambi, ma che possa giudicare negativamente chi si espone in questo modo.
Bias cognitivi come questo fanno leva su una carenza nella gestione delle emozioni, in particolare sull’ansia da prestazione. Ho già scritto un articolo a riguardo, in cui ti mostro come ho imparato a gestirla sulla mia pelle per raggiungere i miei obiettivi sia di memory athlete sia di content creator dagli un’occhiata.
8. Bias dell’Azione
Altro lato della medaglia dell’appena citato Bias dell’Omissione. Riguarda la tendenza di alcune persone ad agire anche quando sarebbe meglio non farlo.
Sono tantissimi i casi in cui agendo finiamo per peggiorare le cose. Un grande classico è durante i litigi, in cui spesso si finisce per dire cose che non si pensano in preda alla rabbia, senza porsi il dubbio di come certe parole potrebbero far sentire chi ci sta davanti (o, nei casi più gravi, addirittura per farlo/a soffrire di proposito).
9. L’Effetto Galatea
L’Effetto Galatea rientra in un gruppo di Bias Cognitivi particolari, chiamati, in psicologia, “Profezie Autoavveranti”, ossia profezie che si avverano per il solo fatto di essere state espresse.
La predizione causa l’evento e l’evento conferma la predizione.
Nel nostro caso, l’Effetto Galatea si verifica quando ci ripetiamo di non essere in grado di fare qualcosa a tal punto da fallire per davvero.
Ricordati, però, che vale anche l’opposto: ripetersi di essere in grado di fare qualcosa può far aumentare la propria autostima e portare, dunque, al successo.
Qui, però, urge un disclaimer.
Non sto parlando di bufale pseudoscientifiche (per non essere volgare) come la Legge di Attrazione, secondo cui tutti noi siamo “magneti umani” che attirano successi e fallimenti con il potere della mente.
Sia chiaro, per avere successo in qualsiasi campo occorre sviluppare competenze e fare pratica per anni. Tuttavia, al netto di un’adeguata preparazione, è un dato di fatto che l’autostima giochi un ruolo determinante nel raggiungere gli obiettivi fissati.
10. L’Effetto Dunning-Kruger (o Bias dell’Ignoranza)
Ed eccoci arrivati a forse il più famoso di tutti i Bias Cognitivi, la cui storia è talmente grottesca e tragicomica da meritare di essere raccontata; preparati.
Siamo nel 1995 e un omone grande e grosso di nome McArthus Wheeler prende la saggia decisione di rapinare due banche a volto scoperto. Senza maschera, passamontagna o altro.
Com’era prevedibile, l’uomo viene rintracciato e arrestato in poche ore. Ma il bello arriva proprio ora.
I poliziotti lo interrogano e, ovviamente, gli chiedono come mai avesse scelto di non nascondere il suo volto in alcun modo. Wheeler, ancora incredulo, risponde che si era spalmato sul viso del succo di limone, certo che questo lo avrebbe reso invisibile alle telecamere.
L’uomo lo aveva fatto seguendo il consiglio di un amico, che gli aveva anche dato una dimostrazione pratica davanti ai suoi occhi. Aveva preso un foglio bianco su cui aveva scritto qualcosa con del succo di limone e questa era rimasta invisibile fino al momento in cui è stata avvicinata a una fonte di calore.
Da qui, l’idea geniale: cospargersi il volto di succo di limone per diventare invisibile (stando lontano dal calore, ovviamente).
Pensa che l’uomo si era persino fatto una foto in questo stato ma, preso dall’euforia del momento, per errore ha fotografato il soffitto. Non vedendo nessuno, ha dunque pensato che tutto fosse andato secondo i piani.
Ebbene, lo psicologo americano David Dunning e il collega Justin Kruger si occuparono, qualche anno dopo, di capire come il nostro cervello ci porta a compiere gesti così insensati (ossia da dove originano i bias cognitivi). La risposta è presto detta:
Le persone più ignoranti si credono le più intelligenti.
Coloro i quali sono più convinti delle loro opinioni spesso sono quelli che ne sanno meno, e che finiscono per deridere gli esperti che, com’è giusto che sia, si mettono continuamente in discussione, poiché più sanno e più sanno di non sapere.
“E allora mi provai a farglielo capire, che credeva essere sapiente, ma non era. E cosí, da quel momento, non solo venni in odio a colui, ma a molti anche di coloro che erano quivi presenti. E, andandomene via, dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero piú sapiente io: […] ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere”
Platone, Apologia di Socrate
Come vedi, il Bias dell’Ignoranza non è nulla di nuovo, Socrate ci aveva già detto tutto più di 2400 anni fa.
Tienilo a mente quando avrai a che fare con i già citati terrapiattisti, negazionisti o chiunque si improvvisi esperto di una materia in cui non ha nessuna preparazione.
E ultimo avvertimento: sappi che se credi di essere troppo intelligente per cadere vittima di questo bias… ci sei già dentro.
11. Bias del Pensiero Dicotomico
Quante volte ti capita di sentire che qualcosa è “bello o brutto”, “giusto o sbagliato”, “buono o cattivo”?
A me fin troppe, e non lo sopporto.
È molto facile avere questa visione del mondo (“black and white thinking” la chiamano gli inglesi), ma la verità è che la vita è fatta di gradazioni intermedie.
Tutti noi ricadiamo in bias cognitivi di questo tipo quando ci facciamo aspettative troppo alte per qualcosa e queste non vengono soddisfatte. Ad esempio, uno studente neolaureato che progetta la sua festa di laurea certo che sarà l’evento della sua vita, ma che poi si rivela essere una normale festa come tante altre.
Se dovessi provare questo tipo di delusione, ricorda che se ciò che fai non è un enorme successo non vuol dire che sia un fallimento.
12. Bias della Rappresentatività: il caso di Linda
Per questo esperimento voglio che partecipi anche tu. Leggi la storia di Linda e poi scegli l’opzione che ti sembra più probabile:
Linda ha 31 anni, è single, schietta e molto brillante. Si è laureata in filosofia, da studentessa si è occupata di questioni di discriminazione e giustizia sociale e ha partecipato a delle manifestazioni antinucleari.
Molto bene. Ora dimmi, quale di questi scenari ti sembra il più probabile?
- A: Linda è una cassiera di banca;
- B: Linda è una cassiera di banca ed è attiva nel movimento femminista.
Durante il vero studio, l’85% dei partecipanti rispose B. Decisione sensata? Forse non così tanto.
Se ci pensi, infatti, il fatto che Linda, oltre a essere una cassiera di banca, sia anche femminista è sempre meno probabile del fatto che non lo sia.
Per capirlo meglio, guarda questo diagramma di Venn, è più chiara ora la cosa?
Come vedi, l’insieme “cassiere di banca femministe” è compreso nell’insieme più grande “cassiere di banca”. Ne consegue che non tutte le cassiere di banca sono femministe, ma tutte le cassiere di banca femministe sono cassiere di banca. Dunque, in assenza di altri elementi, è più probabile che Linda appartenga all’insieme più grande che non al più piccolo.
Aggiungere dettagli in più (il femminismo) riduce la probabilità iniziale, ma non secondo la nostra mente. Ci facciamo trasportare dalla storia di Linda, iniziamo a immaginarcela e, così, scegliamo l’opzione che più si avvicina alla nostra rappresentazione mentale.
Kahneman chiama questo paradosso “il meno è il più”, per sottolineare come l’aggiungere caratteristiche coerenti con la nostra rappresentazione mentale ci porta a ritenere qualcosa più probabile.
Il bias in questione è il Bias della rappresentatività e, se vuoi approfondire l’argomento e avere qualche esempio in più, ti consiglio di leggere questo articolo sui bias cognitivi.
13. Effetto alone
Ti capita mai di amare o detestare una persona “a pelle”, poco dopo averla conosciuta?
Nella nostra società prime impressioni come queste sono all’ordine del giorno. Infatti, spesso tendiamo a giudicare e categorizzare chi ci sta intorno pur non avendo informazioni sufficienti per farlo.
Ci ritroviamo a dare fiducia a qualcuno senza sapere perché, magari basandoci su un sorriso, sul tono della voce o su pochi secondi di conversazione, criteri del tutto inaffidabili.
Tutto ciò è colpa dell’Effetto Alone e c’è un interessantissimo esperimento che lo dimostra.
Solomon Asch elencò ai volontari una serie di caratteristiche di due soggetti, per poi chiedere loro quale tra i due gli avesse fatto una impressione migliore:
Alan: intelligente, industrioso, impulsivo, critico, ostinato, invidioso.
Ben: invidioso, ostinato, critico, impulsivo, industrioso, intelligente.
La maggior parte delle persone coinvolte – e forse anche tu – hanno avuto un’impressione migliore per Alan.
Questo perché le caratteristiche iniziali, positive per Alan (“intelligente” e “industrioso”) ma negative per Ben (“invidioso” e “ostinato”) danno il contesto in cui si inseriscono quelle successive.
Il bello però è che tutte le caratteristiche sono identiche, sono solo presentate in ordine inverso.
A quanto pare, però, l’ordine è sufficiente per cambiare l’opinione che si ha di qualcuno. Tendiamo a rispettare l’ostinazione di una persona intelligente, mentre l’intelligenza di una persona ostinata e invidiosa la rende solo più pericolosa.
Nella vita la “sequenza” con cui entriamo in contatto con gli aspetti di una persona è del tutto casuale, ma per noi conta eccome. Ecco perché diamo così tanto peso alle prime impressioni.
14. Bias della sostituzione: come evitiamo le domande importanti
Torniamo a parlare di prime impressioni e, in particolare, delle opinioni affrettate che ci facciamo non solo su chi ci circonda, ma su tutto quanto, inclusi noi stessi.
Ciò è dovuto a un processo di sostituzione delle domande creato dalla già citata pigrizia mentale del nostro cervello.
In poche parole, se non troviamo in fretta una risposta adeguata a una domanda, inconsciamente ci poniamo una seconda domanda e rispondiamo a quella.
Kahneman divide i due tipi di domande in questo modo:
- La domanda bersaglio è quella reale, a cui si dovrebbe rispondere;
- La domanda euristica è quella più semplice, che sostituisce la prima poiché è più facile trovarvi una risposta.
Per farti capire meglio, eccoti qualche esempio di domanda bersaglio a confronto con la sua controparte euristica.
Quanti soldi daresti per salvare una specie in pericolo? / Quanta emozione provo quando penso ai delfini moribondi?
Quanto sei contento/a della tua vita in questo periodo? / Di che umore sono in questo periodo?
Come vedi, però, le domande euristiche producono risposte molto diverse dalle loro controparti bersaglio e le prime non sono molto adatte a rispondere alle seconde.
Per compensare questa cosa, il nostro cervello tenta di rielaborarle secondo un “matching di intensità” che in questi casi significa, da un lato, esprimere in euro il mio dolore quando penso ai delfini moribondi e, dall’altro, estendere il mio umore del momento alla mia intera vita.
Euristica dell’umore: l’amore ci rende davvero più felici?
Ora che conosci questo strano processo mentale, voglio parlarti di uno studio fatto su alcuni studenti tedeschi, per indagare la sostituzione di cui abbiamo appena parlato e la cosiddetta Euristica dell’umore.
Ai ragazzi vennero fatte due domande:
Quanto sei felice in questo periodo?
Quanti appuntamenti amorosi hai avuto il mese scorso?
Come forse avrai notato, agli sperimentatori interessava sapere se chi aveva avuto più appuntamenti si sarebbe dichiarato più felice di chi ne aveva avuti di meno. Tuttavia, la risposta fu negativa. Lo studio sembrava dimostrare che gli appuntamenti amorosi non sono la prima cosa che viene in mente agli studenti quando si parla di felicità.
La cosa interessante, però, arriva ora.
I ricercatori fecero le stesse domande a un altro gruppo, ma invertite:
Quanti appuntamenti amorosi hai avuto il mese scorso?
Quanto sei felice in questo periodo?
I risultati furono del tutto diversi. In questo caso la correlazione fu percepita eccome, ciò a causa della reazione emotiva causata dal riflettere sulla propria vita sentimentale.
Questa reazione emotiva poteva essere positiva in chi aveva avuto molti appuntamenti e negativa in chi ne aveva avuti meno che, invece, ricordava un certo senso di rifiuto e solitudine.
Perciò, quando veniva fatta la seconda domanda, questa era influenzata dallo stato emotivo causato della prima, che i partecipanti stavano ancora vivendo. Ed ecco quindi che la domanda bersaglio: “quanto sei felice in questo momento?”, diventava una più facile domanda euristica: “quando sono felice della mia vita amorosa?”.
In generale, quindi, ricorda che spesso la tua soddisfazione in un campo specifico della vita determina la tua felicità generale. Di tanto in tanto, chiediti se stai rispondendo davvero alla domanda bersaglio o l’hai solo sostituita con una più facile.
15. Effetto Ancoraggio
Dopo la mia avventura con il Blackjack, torniamo a parlare ci casinò, ma questa volta in maniera diversa, con l’Effetto Ancoraggio.
Per un esperimento, infatti, Kahneman e il suo collega e amico Amos Tversky truccarono una roulette. Esatto, hai capito bene. La roulette aveva ancora tutti i numeri ma poteva fermarsi solo sul 10 o sul 65.
I due ricercatori presero poi degli studenti e gli fecero annotare i numeri che uscivano. Fatto questo, gli fecero due domande:
La percentuale di nazioni africane in seno all’ONU è maggiore o minore del numero che avete scritto?
Secondo voi, qual è la percentuale di nazioni africane in seno all’ONU?
Di fatto il risultato di una roulette non ha nulla a che vedere con le nazioni africane in seno all’ONU, è un dato inutile che andrebbe semplicemente ignorato. Eppure, i ragazzi non lo ignorarono. Al contrario, le stime medie di coloro che videro 10 e 65 furono rispettivamente il 25 e il 45%.
Questa è una chiara dimostrazione di Effetto Ancoraggio, che si verifica quando bisogna assegnare un valore sconosciuto a qualcosa partendo da un dato noto, a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia pertinente oppure no.
16. Bias Cognitivi vs Mindset: quando la mente vince sul corpo
Alia J. Crum è una psicologa americana e professoressa alla Stanford University, nonché ricercatrice allo Stanford Mind and Body Lab. I suoi studi si concentrano principalmente sul modo in cui il mindset del singolo individuo è in grado di alterare la realtà oggettiva tramite meccanismi psicologici, fisiologici e comportamentali.
Qualche tempo fa è stata ospite nel podcast del celebre neuroscienziato Andrew Huberman, per parlare proprio degli effetti del mindset sulla salute e sulla performance.
La dottoressa Crum ha raccontato un suo esperimento fatto durante il suo dottorato a Yale sul rapporto tra mindset e bias cognitivi, il quale ha avuto risultati a dir poco stupefacenti.
La domanda di partenza era la seguente:
“Possono le nostre credenze su ciò che mangiamo cambiare la reazione fisiologica del nostro corpo a quel cibo?”
La domanda deriva da ciò che sappiamo sull’effetto placebo, ossia quella situazione in cui, ad esempio, se si dà a qualcuno uno zuccherino facendogli credere che sia una medicina, il suo corpo reagirà in modo simile a come farebbe se avesse assunto un farmaco vero e proprio.
Per questo esperimento, però, si decise di dare ai partecipanti qualcosa di molto più allettante di farmaci o zuccherini: un milkshake.
Un gruppo di soggetti venne portato in un laboratorio in cui, per quel che ne sapevano, i ricercatori stavano creando una serie di milkshake dal diverso profilo nutrizionale, per venire incontro a chi segue regimi alimentari particolari.
I ricercatori fecero bere ai partecipanti due milkshake diversi, a distanza di una settimana l’uno dall’altro. Venne detto loro che uno era pieno di grassi e di zuccheri, una bomba calorica da 620 calorie, mentre il secondo era dietetico, quindi molto basso di calorie.
Tuttavia, entrambe le informazioni erano false. I milkshake erano del tutto uguali sotto il profilo nutrizionale e avevano circa 300 calorie l’uno.
Se ti stessi chiedendo che senso avesse ingozzare di milkshake un gruppo di persone beh, te lo spiego subito.
Tutti noi, nel nostro corpo, abbiamo un ormone chiamato grelina, detto anche “ormone della fame”. È prodotto dallo stomaco e dal pancreas ed è ciò che stimola l’appetito. Per dirla in modo semplice: più hai bisogno di mangiare e più ne produce, più sei sazio e più la produzione cala.
Tornando al nostro esperimento, verrebbe da pensare che bevendo due milkshake esattamente uguali la grelina dovrebbe calare allo stesso modo in entrambi i casi… vero?
…NO.
Crum e colleghi videro che la grelina calava molto di più quando i soggetti pensavano di avere bevuto un mikshake ipercalorico e, per contro, molto meno con quello dietetico.
Paradossalmente quindi, pensare di stare mangiando sano e quindi di stare assumendo meno calorie fa sentire più affamati rispetto al pensare di starsi riempiendo di calorie, cosa che può portare non solo ad avere più fame (e quindi a voler mangiare di più) ma anche ad avere un metabolismo più lento.
17. Bias dell’avversione alle perdite
Rispondi a questi due problemi:
- Preferiresti ricevere sicuramente 900€ o avere il 90% di probabilità di riceverne 1000?
- Preferiresti perdere sicuramente 900€ o avere il 90% di probabilità di perderne 1000?
Se sei come i soggetti presi in esame da Kahneman, ti sarai dimostrato avverso al rischio nella domanda 1 (preferendo i 900€ certi) ma propenso al rischio nella domanda 2 (preferendo di avere il 90% di probabilità di perdere 1000€).
La ragione dietro questo comportamento è semplice e sta nel concetto di perdita sicura. Nel secondo problema, infatti, tutte le opzioni sono negative e, in questi casi, è stato dimostrato che la gente diventa favorevole al rischio.
Prova ora a rispondere a queste domande:
3. Al tuo conto in banca sono appena stati aggiunti 1000€, preferiresti:
A. Avere il 50% di probabilità di vincere altri 1000€;
B. Ricevere sicuramente altri 500€.
4. Al tuo conto in banca sono appena stati aggiunti 2000€, preferiresti:
A. Avere il 50% di probabilità di perdere 1000€;
B. Perdere sicuramente 500€.
Questi due sono casi interessanti perché, se consideriamo gli outcome possibili, sono del tutto identici. In entrambi i casi infatti ci sono due scenari:
- Avere il 50% di probabilità di guadagnare 1000 o 2000€
- Guadagnare certamente 1500€
È evidente quindi che ciò che porta a fare scelte diverse è il modo in cui la situazione viene presentata. In particolare, mi riferisco ai punti di riferimento che vengono assegnati.
Il risultato finale di 1500€, infatti, è maggiore dei 1000€ di partenza del problema 3 (ed è quindi un guadagno) ma è minore dei 2000€ del problema 4 (e quindi una perdita).
Ora, onestamente, quanta attenzione hai prestato al “regalo” iniziale di 1000 o 2000€? Con ogni probabilità, a stento lo avrai notato.
Questo dimostra che i nostri atteggiamenti nei confronti dei rischi economici non cambiano per qualche migliaio di euro in più sul conto in banca (a meno che tu non sia in grave difficoltà economica). La risposta per cui la prospettiva di guadagno alletta di più è molto più elementare:
Vuoi vincere e detesti perdere.
Non solo, detesti perdere più di quanto non ti piaccia vincere. Le perdite, infatti, spesso ci appaiono molto più grandi dei guadagni e questo per chiare ragioni evolutive.
Una forma di vita che dà più importanza alle minacce rispetto che alle opportunità ha più probabilità di far fronte ai pericoli e sopravvivere.
Tutti noi possiamo stimare la nostra avversione alle perdite, basta chiederci:
“Qual è il guadagno minimo che per me compenserebbe la probabilità di perdere 100€?”
Secondo Kahneman, questo valore in media è di circa il doppio, quindi 200€, ma alcune persone possono essere più propense al rischio di altre. Ad esempio, chi lavora nel mondo dei mercati finanziari avrà un’avversione alle perdite inferiore, dato che le varie fluttuazioni non provocheranno le stesse reazioni emotive.
Conclusione
Come hai potuto vedere, non solo viviamo in un mondo in cui persuasione e manipolazione sono all’ordine del giorno, ma i bias cognitivi ci insegnano che noi siamo i più grandi manipolatori di noi stessi, anche se non ce ne rendiamo conto.
Il discorso sarebbe molto più lungo (pensa che si stima esistano circa 200 euristiche), ma per oggi ci fermiamo qui. Ti lascio questo articolo sulle fallacie argomentative, in cui potrai capire come alcuni dei nostri errori cognitivi si applicano alla conversazione e soprattutto alle discussioni.
Spero che questo articolo ti sia stato utile. Se vuoi approfondire i temi della memoria, della produttività e del miglioramento personale continua a seguirmi sul blog!
Per finire, in basso ti lascio i link al mio canale YouTube e a tutti i miei altri canali social. Ci vediamo là.
A presto,
Andrea